Diagnosi prenatale nelle donne migranti: problema emergente o imposto

Sabina dal Verme
Università degli Studi di Milano – Clinica Ostetrico Ginecologica AO S. Paolo, Milano
Evento:
87° Congresso SIGO, Simposio Theramex/Teva
Data e sede:
settembre 2011, Palermo

Da dati forniti dai CEDAP di alcune regioni e dall’Istituto Superiore di Sanità emerge che “le donne immigrate ricorrono alle metodiche di diagnosi prenatale in misura nettamente inferiore alle donne italiane” nella stessa fascia d’età. In particolare, è stato osservato che tra le donne che si sottopongono all’amniocentesi oltre i 34 anni di età, il 40% sono italiane mentre le migranti rappresentano solo il 25%. È lecito quindi chiedersi quali possano essere i motivi di tale differenza. Alcune ipotesi sono piuttosto evidenti: la mancanza o carenza di informazione e di mediazione culturale, l’accesso tardivo alle cure in gravidanza, il tema della migrazione che può essere vissuto come un trauma e una diversa percezione dei rischi di patologia, di anomalie fetali, del valore della “libera scelta” e della posizione della donna. La mancanza di informazione Le fonti citate in precedenza mettono in evidenza come “circa la metà delle donne migranti riceve meno informazioni sulla diagnosi prenatale rispetto alle italiane”. I problemi di tipo linguistico costituiscono, quindi, un ostacolo da non sottovalutare; se una donna o una coppia non parla italiano, o lo conosce poco, è infatti molto difficile fornire informazioni adeguate. Questo rappresenta un problema per gli operatori e li pone di fronte a difficoltà a cui è importante trovare delle soluzioni. Anche per le donne italiane talvolta è difficile attribuire il corretto significato alle terminologie mediche complesse. È ancor più difficile parlare di anomalia cromosomica o di valore probabilistico di un test di screening con persone che padroneggiano poco la lingua italiana o conoscono solo la terminologia relativa alla vita quotidiana. Non è invece possibile affrontare il discorso della diagnosi prenatale con le donne o le coppie che non conoscono la lingua. Talvolta, c’è anche la tendenza a basarsi su pregiudizi e semplificazioni, per esempio, dando per scontato che le donne musulmane siano contrarie all’aborto e non vogliano effettuare gli esami di diagnosi prenatale. Oppure, alla richiesta di informazioni sulle finalità della translucenza nucale, viene fornita una spiegazione sbrigativa sul fatto che sia una metodica utile per vedere se il bambino sta bene. Spesso, anche per mancanza di tempo, si forniscono informazioni inadeguate.

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