Il carcinoma del collo dell’utero da papillomavirus (HPV) può essere prevenuto con un monitoraggio regolare; un esame delle urine potrebbe facilitare questo obiettivo.
Il carcinoma del collo dell’utero è al quarto posto, tra i tumori più comuni nelle donne, con un tasso d’incidenza di 14 casi per 100.000. La causa più frequente di questo tipo di carcinoma è l’infezione da papillomavirus umano, comunemente noto come HPV. Si tratta di un’infezione sessualmente trasmessa molto comune, si ritiene infatti che colpisca quasi tutte le persone sessualmente attive durante la loro vita. Fortunatamente, oltre il 90% di tutte le infezioni da HPV si risolve spontaneamente entro due anni dall’acquisizione, senza particolari complicanze. Tuttavia alcuni HPV, riconosciuti in base al loro materiale genetico (i cosiddetti “genotipi”), sono particolarmente pericolosi. È infatti noto che tra gli oltre 200 genotipi di HPV finora identificati, almeno 40 provocano lesioni alla mucosa anogenitale. Per quanto riguarda il rischio che l’infezione evolva in carcinoma del collo dell’utero, i principali indiziati sono i genotipi denominati HPV16 e 18, responsabili del 70% dei casi di carcinoma del collo dell’utero. Complessivamente, l’infezione dal HPV causa di circa 528 mila nuovi casi di carcinoma e di circa 266 mila decessi (dati del 2012).
Il 90% delle morti per carcinoma del collo dell’utero si concentrano nei Paesi a basso e medio reddito, dove sono più carenti adeguate misure di prevenzione. Lo screening per tenere sotto controllo l’infezione da HPV si basa soprattutto sul rilevamento di DNA del virus, con un esame del sangue, e di cellule tumorali su tampone cervicale, tramite il cosiddetto Pap-test. Tuttavia, come dimostrato dal dato di incidenza nei Paesi con ridotte disponibilità economiche, la sfida principale è attualmente quella di mettere in atto strategie di screening più semplici e meno costose, per facilitare l’adesione ai programmi di prevenzione da parte della popolazione a rischio.
Appare pertanto particolarmente interessante la notizia di un nuovo esame per valutare il rischio delle donne affette da HPV, basato su un semplice esame delle urine. Questo esame è in grado di valutare sia il materiale genetico (DNA) del virus sia le cellule sfaldatesi dalla parete del collo dell’utero. I primi dati relativi a tale metodica sono promettenti, sono tuttavia necessari ulteriori studi che en confermino la validità diagnostica.
Sebbene siano ancora necessari studi di convalida su larga scala, questa metodica conferma l’affidabilità dei marcatori rilevabili nelle urine (prima emissione del mattino), relativi sia al DNA dell’HPV, sia alle cellule umane sfaldatesi dalla superficie del collo dell’utero. Oltre a tali marcatori, ne vengono ricercati altri (definiti biomraker molecolari), in grado di soddisfare gli standard di alta qualità del test. L’urina può essere comunque considerato un materiale prezioso, sia per gli elementi rilevabili in essa, sia per la facilità di raccolta senza alcuna invasività (a differenza dell’esame del sangue e del Pap-test). Questo tipo di esame offre pertanto una reale opportunità per facilitare l’adesione ai controlli da parte delle donne, migliorando così l’efficacia dei programmi di screening di prevenzione del carcinoma del collo dell’utero, da infezione HPV.
Bibliografia
Van Keer S, Pattyn J, Tjalma WAA, Van Ostade X, Ieven M, Van Damme P, Vorsters A. First-void urine: A potential biomarker source for triage of high-risk human papillomavirus infected women. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol 2017 Jun 27;216:1-11.