È stato presentato a Milano un documento elaborato dalle tre società scientifiche che riuniscono i ginecologi e oncologi ospedalieri italiani, per il migliore trattamento possibile del tumore all’ ovaio e per la migliore assistenza alle quasi cinquemila (4.900) donne che ogni anno si ammalano in Italia di questa forma di tumore.
Grazie a questa collaborazione, la prima di questo genere in Italia, sono stati individuati i centri di riferimento e sono state definite le linee guida nazionali per la cura di questa patologia.
Il documento è già stato consegnato alle istituzioni sanitarie nazionali e quando sarà stato distribuito anche agli associati diventerà operativo.
Secondo gli specialisti delle tre società, Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica), Sigo (Società di Italiana di Ginecologia e Ostetricia) e Siog (Società Italiana di Oncologia Ginecologica), sono fondamentali tre punti: la collaborazione fra le diverse strutture, la creazione di team collegiali, e un numero minimo di interventi per poter essere indicati come centri di riferimento.
Spiegano il presidente Sigo, Nicola Surico, e il presidente Aiom, Stefano Cascinu: «In Italia siamo all’avanguardia nella gestione di questo tipo di pazienti ma registriamo una scarsa comunicazione fra ginecologo, oncologo e le altre figure coinvolte; inoltre non abbiamo percorsi condivisi, al contrario di quello che avviene per altre forme di tumori, come quello della mammella. Partendo da questa base, e sollecitati dai nostri stessi soci, come società scientifiche ci siamo riuniti e abbiamo elaborato un documento ufficiale con proposte concrete per favorire la creazione di veri e propri team collegiali, un numero minimo di interventi per essere indicati come centri di riferimento, e per la collaborazione fra le diverse strutture; ora potremo garantire una migliore assistenza alle 4.900 Italiane colpite ogni anno dal tumore all’ovaio».
Nel documento le competenze sono fissate con precisione, come spiega il presidente Siog, Paolo Scollo: «Abbiamo predisposto una serie di indicatori che le Unità Operative di riferimento sul territorio dovranno rispettare, considerando sia il loro carico di lavoro annuale che la multidisciplinarietà; per esempio, ogni chirurgo ginecologo-oncologo dovrà trattare almeno dieci casi di carcinoma ovarico all’anno e non potranno passare più di 14 giorni fra la prima visita e l’intervento».
Un sondaggio condotto fra gli specialisti rivela che quello della comunicazione è un problema fondamentale, come sottolinea Scollo: «Ben il 63% degli oncologi e il 32% dei ginecologi ritengono che il livello di cooperazione non sia sufficiente; per l’86% di loro una collaborazione continua è determinante per definire percorsi guidati e codificati uniformemente in tutta la penisola. Non possiamo perdere altro tempo, soprattutto ora, che dopo 15 anni disponiamo di nuove terapie, purtroppo ancora in attesa di approvazione nel nostro paese».
Se il tumore all’ ovaio viene scoperto nella fase iniziale, la probabilità di guarire arriva al 90% ma purtroppo in Italia otto casi su dieci vengono diagnosticati quando sono già in fase avanzata, con la conseguenza che la sopravvivenza scende al 30%; per una forma come questa, che non dà sintomi, lo screening e quindi l’intervento precoce sono dunque basilari.
Fonti
ANSA.it, Adnkronos Salute, Il Fatto Scienza, La Repubblica.it