Sono arrivati a cinque milioni i bambini nati grazie alla Pma (Procreazione Medicalmente Assistita) ma anche questo settore risente della crisi economica in atto in tutto il mondo; in molti paesi infatti diminuiscono i fondi a disposizione delle coppie infertili: in Grecia si è registrata una diminuzione del 20% del numero di cicli e la stessa cosa avverrebbe in Spagna, ma la presenza di coppie che arrivano dall’estero rallenta il calo.
Nelle nazioni dove non sono stati tagliati i rimborsi sanitari, come l’Olanda, aumenta invece il numero di cicli e quindi di bambini, come rileva lo studio condotto da Mark Connoly, economista dell’Università di Groningen.
La diminuzione della crescita delle nascite con Pma non è dovuta però solo alla difficile fase economica mondiale ma anche ad altri fattori, come l’età sempre più avanzata alla quale le donne vi accedono, o all’abitudine al fumo, all’alcol o al caffè in forti quantità; sono infatti numerosi gli studi presentati all’Eshre che accusano gli stili di vita sbagliati.
Uno studio della Fertility Clinic di Aarhus, Department of Clinical Medicine – Obstetrics and Gynaecology dell’Università di Aarhus, in Danimarca, condotto da Ulrick Schioler Kesmodel su quasi quattromila donne, dimostra che almeno cinque tazze al giorno di caffè americano ridurrebbero alla metà la possibilità di fertilizzazione in vitro (una tazza di caffè americano contiene il 50% in più di caffeina rispetto a una tazzina di moka, 120mg contro 80mg).
Commenta lo studioso danese: «Ma non è chiaro se l’effetto è dovuto alla caffeina, perché, se così fosse, dovremmo considerare anche il tè, il cioccolato e alcuni soft drink; il legame tra caffeina e fertilità è stato studiato in passato, con risultati divergenti».
Waijt S. Dhillo, endocrinologo dell’Imperial College di Londra, a proposito dei rapporti fra abitudini alimentari e fertilità, spiega che le persone sottonutrite, maschi e femmine, hanno problemi di infertilità; sempre su questo tema, Didier Dewailly, del dipartimento di Ginecologia Endocrina e Medicina Riproduttiva dell’Ospedale Universitario di Lille, in Francia, affronta il problema opposto, quello cioè dei danni che il peso eccessivo provoca alla qualità degli ovociti e degli spermatozoi.
Dewailly si interroga: «L’obesità e l’insulinoresistenza hanno un forte impatto sulla salute riproduttiva, tanto che ci si deve porre domande forse scioccanti: il Bmi (indice di massa corporea) deve essere un criterio di esclusione per i trattamenti? E i rischi associati alla gravidanza di una donna obesa non giustificano forse una chirurgia bariatrica prima di sottoporsi a fecondazione?».
Domande che non sono poi così scioccanti se a Malta possono accedere alle terapie di Pma solo le donne che non fumano e che hanno il Bmi nei limiti della norma.
Anche certi tipi di grassi provocano la diminuzione del numero degli ovociti e il peggioramento della qualità dell’embrione nella fertilizzazione in vitro, almeno secondo lo Studio Hearth, dell’Harvard School of Public Hearth (Hsph), nel Massachusetts, come spiega il nutrizionista Jorge Navarro: «Il nostro studio riguarda 147 donne che si sono sottoposte a 198 trattamenti di fertilizzazione in vitro, con il monitoraggio dello sviluppo degli ovociti, la fertilizzazione, la qualità degli embrioni, le gravidanze e le nascite. Per esempio, le donne con il consumo più elevato di grassi saturi (circa il 25% delle calorie totali) producevano circa tre ovociti maturi in meno rispetto a quelle con consumo minore, e gli ovociti maturi sono gli unici che possono essere utilizzati per l’Ifv. Inoltre, il consumo di grassi polinsaturi era inversamente correlato con la qualità dell’embrione. Sappiamo che diversi tipi di grassi hanno effetti diversi sui processi biologici che possono influenzare la riproduzione assistita, ma non è chiaro qual è il meccanismo».
Di questi problemi si è discusso nel corso del 28° congresso dell’Eshre (European Society of Human Reproduction and Embryonology) che si è concluso nei giorni scorsi a Istanbul.
Font
28th ESHRE Congress, Instambul 1-4 luglio 2012