Prevenzione del tumore del collo dell’utero: test Hpv o Pap test

In occasione della Settimana Europea della Prevenzione del Carcinoma della Cervice uterina, che si è tenuta nelle scorse settimane a Roma, si sono tratte le prime conclusioni della campagna vaccinale contro il papilloma virus (Hpv).
Il direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica del Policlinico A. Gemelli di Roma, Walter Ricciardi, spiega: «È stata raggiunta una copertura per tre dosi del 70% da 11 regioni per la coorte nascita 1997, da nove regioni per la coorte del 1998, e da cinque regioni per la coorte del 1999. Attualmente siamo indietro rispetto all’obiettivo posto dall’attuale Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2012-2014, del 95% per le dodicenni nella coorte del 2003, ma puntare a rispettarlo è fattibile e doveroso».
Si registrano in Italia ogni anno 3.500 nuovi casi di tumore del collo dell’utero; a questo proposito Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio Nazionale per la Salute della Donna (Onda), osserva: «Se la prevenzione primaria e secondaria viaggiassero di pari passo, potremmo pensare di sconfiggere il tumore del collo dell’utero».
Il test Hpv come screening primario rispetto al Pap test è stato scelto da due regioni, Toscana e Basilicata; in Toscana è stato adottato dallo scorso anno ed è stato calcolato che nel 2016-2017 avrà consentito un risparmio di un milione di euro.

Spiega il direttore generale dell’Ispo (Istituto per lo Studio e la Prevenzione Oncologica) di Firenze, Gianni Amunni: «Il test Hpv risponde a una diagnostica più specifica ed è possibile effettuarlo ogni cinque anni anziché ogni tre, permettendo così una diminuzione di eventuali esami di approfondimento correlati». Lo stesso modello è applicato dalla Basilicata dall’inizio di quest’anno, ma lo screening basato sul Pap test, con il test Hpv utilizzato solo in un secondo livello di analisi, rimarrà valido per le donne di età compresa fra i 25 e i 34 anni; « È importante sottolineare che se il test Hpv risulta positivo, non significa che la donna è malata o che sicuramente svilupperà il tumore, ma solo che siamo in presenza di un fattore di rischio che richiede successivi approfondimenti, tra cui in primis il Pap test», spiega il direttore del Dipartimento della Donna e del Bambino dell’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza, Sergio Schettini.

Fonte
La Redazione
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