Il più vasto studio genetico sull’osteoporosi mai realizzato, ha identificato nuovi geni che sono in relazione con il rischio di fratture da fragilità ossea; questa scoperta potrà portare alla messa a punto di nuovi farmaci per prevenire la malattia. Era già nota l’origine genetica della fragilità ossea ma questo nuovo studio ha rivelato il coinvolgimento di varianti genetiche in 56 regioni del genoma.
Nel corso della ricerca sono stati esaminati i dati relativi a 80.000 soggetti di vari paesi del mondo, che sono stati sottoposti alla Dexa, assorbimetria a raggi X a doppia energia, un esame specifico per valutare la massa ossea; i dati tratti di 30mila pazienti con fratture ossee sono stati confrontati con quelli di 100mila controlli: sono stati analizzati i genomi di ognuno e sono stati messe in relazione le varianti geniche, la densità ossea e l’incidenza di fratture.
L’investimento economico è stato ragguardevole: ogni caso è costato circa 3/400 euro di analisi, e solo l’unione delle risorse dei vari gruppi di ricerca ha consentito di raggiungere risultati così importanti.
Allo studio hanno partecipato anche ricercatori italiani, coordinati dal presidente della Firmo (Fondazione Italiana per la Ricerca sulle Malattie Ossee), Maria Luisa Brandi, che spiega: «Per la prima volta sono stati individuati in un gran numero di soggetti i geni coinvolti in una malattia multifattoriale, dovuta cioè ad alterazioni in più di un singolo gene. Il nostro gruppo di ricerca lavora da vent’anni sull’argomento e abbiamo raccolto circa duemila pazienti, che abbiamo caratterizzato con molta precisione; per arrivare a questo traguardo, è stato però necessario mettere assieme la nostra casistica con quelle di altri gruppi di tutto il mondo, arrivando a un numero di partecipanti mai raccolto in precedenza, che dà una grossa ‘forza’ statistica ai dati emersi dallo studio.
Abbiamo verificato che fra i 56 ‘punti chiave’ del genoma, per i quali è emersa una correlazione con la fragilità ossea, vi sono tutti i geni che nel frattempo sono stati studiati e identificati per il loro ruolo nel metabolismo dell’osso: c’è il Rank-Ligand, l’osteoprotegerina, la sclerostina. Questo significa che non ci siamo sbagliati: se su numeri così enormi di pazienti non li avessimo trovati fra i ‘responsabili’, sarebbe stato molto strano. Oltre a questi geni, però, ne abbiamo scovati 32 del tutto nuovi, che non avevamo idea che fossero correlati al metabolismo osseo, e invece adesso dovranno essere studiati bene per capire come e perché vi siano coinvolti; potrebbero portare a nuovi farmaci, ma soprattutto potranno aiutarci a creare un metodo diagnostico su base genetica per una malattia multifattoriale: finora solo le malattie provocate dalla mutazione di un singolo gene potevano essere valutate con i test genetici, ma ora questo studio apre l’orizzonte anche per patologie più complesse. Il prossimo passo è creare proprio un set diagnostico genetico e convalidarlo: la vera via per arrivare a una valutazione del rischio genetico o a una diagnosi genetica di malattie complesse, è quella di studi ampi e approfonditi come questo, non certo sottoporsi ai primi test che si trovano in rete».
Dopo i 65 anni, per le donne è più alto il rischio di morte per le conseguenze di una frattura che per il cancro, ma il problema della debolezza delle ossa provocata dall’osteoporosi è meno conosciuto nelle sue possibili gravi conseguenze. Lo studio, pubblicato su Nature Reviews Genetics, è stato coordinato dall’Erasmus University Medical Center di Rotterdam.
Fonte
Genome-wide meta-analysis identifies 56 bone mineral density loci and reveals 14 loci associated with risk of fracture, Nature Genetics, Aprile 2012