La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) ha respinto il ricorso presentato dal Governo italiano contro la sentenza con cui la stessa Corte, lo scorso 28 agosto, aveva bocciato la Legge 40 del 2004 dichiarandola ‘incoerente’; per le coppie italiane portatrici di malattie geneticamente trasmissibili potrebbe quindi essere imminente la possibilità di fare la diagnosi preimpianto o di accedere alla procreazione assistita. Causa della bocciatura è “…l’incoerenza del sistema legislativo in materia di diagnosi preimpianto…” in quanto, se da un lato la Legge 40 vieta la diagnosi degli embrioni prima che siano impiantati nell’utero, dall’altro consente successivamente di ricorrere all’aborto, nel caso in cui si verificasse che gli embrioni sono affetti dalla patologia dei genitori.
La Legge 40 negava la diagnosi alle coppie a rischio per tutelare la salute della donna e del bambino, la dignità e la libertà di coscienza delle professioni mediche, e per evitare ‘derive eugenetiche’.
Eugenia Roccella del Pdl, già sottosegretario alla Salute, osserva: «Il ministro Balduzzi può ancora emanare le linee guida sulla Legge 40 che erano state elaborate dal precedente governo, e che ha tenuto nel cassetto per un intero anno, in ritardo rispetto ai termini previsti dalla legge stessa. In quelle linee guida sono richiamati i criteri già presenti nella Legge 40, in cui si afferma che ogni indagine clinica su ciascun embrione deve essere “…volta alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso”».
L’Associazione Luca Coscioni ha sostenuto davanti alla Corte le motivazioni contrarie alla Legge 40; l’avvocato Filomena Gallo, dell’Associazione, spiega: «Non ci sono i tempi tecnici necessari per emanare un nuovo testo con le linee guida, seguendo la procedura prevista dalla Legge 40, che vede coinvolti anche l’Istituto Superiore di Sanità e il Consiglio Superiore di Sanità».
La Corte il 28 agosto aveva accolto il ricorso di due coniugi italiani, Costa-Pavan, affetti da fibrosi cistica, che avevano già avuto un bambino con la loro stessa patologia e volevano evitare di trasmetterla anche a un secondo eventuale figlio; nel ricorso i coniugi denunciavano la violazione del diritto al rispetto della loro vita familiare e privata.
Con la sentenza del 28 agosto la Corte aveva accolto il ricorso e ora ha confermato quella sentenza, ritenendo insufficienti gli argomenti portati dal governo italiano per giustificare il divieto imposto ai coniugi di ricorrere alla diagnosi preimpianto e respingendo la richiesta di ridiscutere il caso, basata esclusivamente su argomenti procedurali. ‘Piena’ la soddisfazione del rappresentante legale dei coniugi, Nicolò Paoletti, secondo cui: «La scelta della Corte di Strasburgo è molto importante; con questa scelta si riconosce un diritto fondamentale, che può aiutare a evitare molte sofferenze».
L’Italia è uno dei pochissimi Paesi che ancora proibisce la diagnosi preimpianto volta a evitare la trasmissione di malattie genetiche, insieme all’Austria e alla Svizzera, che ha comunque allo studio una modifica della legge attualmente in vigore: questa la conclusione di uno studio comparato, commissionato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Fonte
Ansa, 12 febbraio 2013