Uno studio canadese esprime pesanti riserve sulla pratica degli screening mammografici, ma gli esperti italiani ne confermano l’importanza per la riduzione della mortalità per tumore al seno; sono il presidente della sezione di Senologia della Sirm (Società Italiana di Radiologia Medica), Carlo Faletti, e Pietro Panizza e Francesco Sardanelli, dell’Irccs Policlinico San Donato, a mettere in discussione i risultati dello studio canadese, in una nota congiunta.
Innanzitutto, nello studio si fa riferimento ai risultati di mammografie che risalgono a 25 anni fa; inoltre, la situazione italiana è molto diversa da quella esaminata dagli studiosi canadesi, come spiega il presidente eletto Sirm, Carlo Masciocchi, che entrerà in carica nel prossimo mese di maggio: «A differenza dal paesi nordamericani, in Italia facciamo veri screening di popolazione, mentre loro, essendo legati ai rimborsi assicurativi, hanno difficoltà a fare screening ben strutturati e ottengono risultati parziali. Siamo anche più avanti nella tecnologia, perché adottiamo quella dei mammografi digitali, che offre garanzie ben superiori; lo scorso aprile ho partecipato a un incontro a Washington con il professor Faletti, proprio per confrontare con gli Americani le rispettive caratteristiche degli screening mammografici, ed è risultato che noi siamo più avanzati: tutto deriva dal fatto che la Sanità italiana assiste l’intera popolazione, mentre la loro copre solo chi è assicurato, generando situazioni completamente differenti.
Oggi disponiamo di strumenti di accertamento molto avanzati e poco invasivi; ormai la biopsia si fa con aghi molto sottili, ed espone a complicanze che si avvicinano allo zero. Con queste tecniche c’è una certezza di diagnosi assoluta, e il solo problema è il moderato aumento dei costi che ne deriva».
Lo studio canadese, che è stato pubblicato sul British Medical Journal, fra l’altro quantificava la sovradiagnosi nel 22% dei casi, ma anche questo dipende dalla tecnologia.